lunedì 12 dicembre 2016

LE IMPLICAZIONI PSICOLOGICHE NELLA MALATTIA CRONICA






Negli ultimi anni si è passati da un modello medico tradizionale che si focalizzava solo sulla cura e sui sintomi di una malattia, ad una concettualizzazione più ampia che comprende giustamente anche le implicazioni psicologiche considerate avere un ruolo rilevante sul decorso della malattia cronica stessa.
Da un punto di vista psicologico infatti venire a conoscenza di avere una malattia che ci accompagnerà tutta la vita, comporta un cambiamento radicale rispetto alla vita che si conosceva fino a quel momento. La salute fino ad allora un punto saldo di riferimento viene a mancare, ridefinendo un nuovo significato di se stessi, della salute e della vita in generale. Non è per nulla facile, bisogna adattarsi alla nuova condizione, ridefinire i propri stili di vita , le proprie abitudini quotidiane e non sempre questo è automatico, anzi il più delle volte sono delle vere e proprie forzature se la malattia non viene accettata consapevolmente. Questo cambiamento produce a livello cognitivo, emotivo e comportamentale delle risposte che possono  prendere forma in un disagio psichico di lieve entità fino ad arrivare  a delle vere e proprie psicopatologie. Chi vive l’esperienza di una malattia cronica o degenerativa nella maggioranza dei casi, manifesta depressione, ansia, stress, che interferiscono nella conduzione della malattia o addirittura ne accrescono la sintomatologia.
Dalla diagnosi alla terapia, l’obiettivo dell’intervento psicologico sarà quello di
·       Contenere i sintomi di sofferenza sia psicologica che psicopatologica;
·       Modificare comportamenti a rischio che potrebbero influenzare negativamente le condizioni psicofisiche generali (come assunzione di alcol, disturbi del comportamento alimentare
·       Favorire il processo di accettazione e di adattamento alla nuova condizione di vita;
·       Favorire l’aderenza ai piani di cura;
·       Favorire la partecipazione attiva del paziente al piano di cura e alla sua vita, aiutandolo a ricostruire un senso dell’esperienza e ad adottare modalità più funzionali di essere ed agire.

In conclusione

E’ di notevole importanza l’aspetto psicologico nelle malattie croniche, oltre quello fisico per il benessere psicologico delle persone. Emerge infatti che una patologia non integrata comporta sofferenza persistente e duratura che invade tutti gli ambiti della vita dei pazienti che ne sono affetti; inoltre, non bisogna dimenticare che lo stesso contesto familiare e sociale all’interno del quale vive un individuo con patologia cronica viene inevitabilmente investito dalla diagnosi del proprio congiunto, sottolineando il coinvolgimento delle relazioni familiari nel contesto di cura.

mercoledì 23 novembre 2016

DISTURBI ALIMENTARI





I disturbi del comportamento alimentare propriamente detti (DCA) sono patologie caratterizzate da un’ alterazione delle abitudini alimentari e da un’eccessiva preoccupazione per il peso e per le forme del corpo. Il disturbo si manifesta a livello cognitivo con un ‘attenzione quotidiana, assolutizzata sul cibo che diventa un pensiero ossessivo, sulla dieta e su quello che bisogna o non bisogna mangiare. A livello comportamentale questi disturbi si manifestano attraverso
·         digiuno
·         diete restrittive
·      abbuffate che si manifestano con l’ingestione una notevole quantità di cibo in brevissimo tempo in cui si avverte un senso quasi di incoscienza ovvero un non riuscire a controllare cosa e quanto si mangia
·         vomito autoindotto
·         assunzione impropria di lassativi e/o diuretici al fine di contrastare l’aumento di peso
·         intensa attività fisica finalizzata alla perdita di peso.
I disturbi del comportamento alimentare insorgono prevalentemente durante l’adolescenza e colpiscono soprattutto il sesso femminile. Va sottolineato che le persone possono ricorrere ad uno o più di questi comportamenti sopracitati, ma ciò non vuol dire necessariamente che esse soffrano di un disturbo alimentare. Ci sono infatti dei criteri ben precisi che  lo definiscono. Il corpo è spesso evitato e percepito in modo alterato: il vissuto corporeo di essere inadeguati, grassi, brutti e socialmente non accettabili, influenza negativamente la propria autostima e amabilità. I più diffusi e conosciuti disturbi del comportamento alimentare sono
·         anoressia
·         bulimia
·         disturbo dell’alimentazione incontrollata (binge eating disorder)
vari studi indicano che i disturbi del comportamento alimentare fanno riferimento ad un modello casuale multifattoriale, secondo cui  non esiste un’unica causa ma vari fattori possono favorirne la comparsa e il mantenimento del disturbo. 

Anoressia
La persona che soffre di Anoressia Nervosa risulta gravemente sottopeso a causa della drastica diminuzione dell’alimentazione quotidiana. La denutrizione del proprio corpo non appare tuttavia percepito dalla persona, la quale nella maggior parte dei casi non si rende conto della propria effettiva condizione fisica, bensì si percepisce come “ancora grassa”, almeno in alcune parti del corpo (in genere cosce, glutei, addome), oppure si sente soddisfatta e rassicurata dalle forme corporee attuali.
Sulla base di tale grave alterazione della propria immagine corporea la persona vive con intenso terrore   l’idea di recuperare un peso normale, in quanto ciò viene considerato come “tornare ad essere grassa”, e si mostra indifferente alle conseguenze del disturbo sul piano della salute fisica.
Tali rigide idee conducono frequentemente alla “negazione” del problema, da cui segue la resistenza oppure la ferma opposizione al trattamento del disturbo. In alcuni casi Anoressia e bulimia possono coesistere nella stessa persona come disturbo alimentare. 

Bulimia
La Bulimia Nervosa si caratterizza per la presenza di frequenti abbuffate a cui seguono comportamenti di compensazione il cui scopo è compensare le calorie ingerite. L’abbuffata è un episodio di alimentazione eccessiva  in cui viene ingerita una grande quantità di cibo e durante il quale la persona sperimenta una sensazione di perdita di controllo. La  frequenza delle abbuffate può variare da una o due volte alla settimana a più volte al giorno. Può accadere che la persona bulimica senta la necessità di terminare l’abbuffata in fretta in modo da liberarsi di ciò che è stato ingerito in modo da ridurre al minimo le calorie ingerite. Le persone bulimiche appaiono visibilmente normopeso, anche se talvolta può essere presente un leggero sovrappeso.

 Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder)
Questo disturbo è caratterizzato dalla presenza di episodi ricorrenti di abbuffate, a cui non fanno seguito condotte di  compensazione come nella Bulimia nervosa. O meglio per la precisione possono esserci l’utilizzo di condotte compensatorie quali vomito, utilizzo di lassativi, diuretici digiuno , esercizio fisico forzato ma non utilizzate in maniera sistematica per controbilanciare le calorie ingerite. Molte ricerche hanno evidenziato una forte correlazione tra questo disturbo e
·         obesità
·         diabete tipo 2
·         malattie metaboliche
·         apnee nel sonno
·         malattie cardiocircolatorie
·         sindrome del fegato grasso
·         osteoartrite
·         complicanze in gravidanza
Le persone che soffrono di Disturbo da Alimentazione Incontrollata mostrano un’alimentazione caotica, senza controllo, con un elevato introito di cibo sia durante i pasti che fuori pasto, ovvero generalmente sono presenti sia frequenti abbuffate che alimentazione eccessiva ai pasti stabiliti (colazione, pranzo, cena).

Il modello terapeutico cognitivo-comportamentale con questi disturbi mira alla ristrutturazione dei pensieri e alla gestione delle emozioni che sono alla base del comportamento alimentare patologico per favorire quei cambiamenti che rappresentano le tappe fondamentali del processo terapeutico.

mercoledì 16 novembre 2016

REGOLAZIONE EMOTIVA



Le emozioni sono importanti per il nostro benessere psicofisico, riconoscere le proprie emozioni rappresenta il primo passo per comprendere ciò di cui abbiamo bisogno. E’ importante imparare a riconoscerle, a leggere i bisogni, che vi nascondono, per agire in direzione del nostro benessere.
Vediamole da vicino
Le emozioni rappresentano esperienze soggettive positive o negative, percepibili a livello somatico, in quanto associate ad un particolare quadro dell’attività fisiologica. Ad esempio la paura è caratterizzata da alcuni connotati fisiologici, quali l’aumento del battito cardiaco,l’aumento della pressione sanguigna, la tensione muscolare, e aumento della respirazione.
Le emozioni si classificano in base a due categorie primaria e secondaria
  • Le emozioni primarie sono quelle presenti fin dalla nascita e che si trovano in tutte le culture. Si tratta di 5 emozioni : Gioia, Sorpresa, Rabbia, Disgusto e Paura. Queste emozioni sono caratterizzate anche da espressioni facciali specifiche e universalmente riconoscibili.
  • Le emozioni secondarie si svilupperebbero più tardi perché sono cognitivamente più complesse e perché hanno una derivazione sociale, dipendono cioè dai contesti culturali. Quelle secondarie sono rappresentate dalla Vergogna, Colpa, Imbarazzo o Rammarico, e sono legate ai valori specifici di una cultura che segnala quando e come provare queste emozioni. Ne segue che non hanno la stessa importanza tra i gruppi culturali e che la loro espressione facciale varia.
Le emozioni si attivano tramite due vie
  • Una breve , automatica e non riflessiva
  • Una lunga, riflessiva, caratterizzata dal pensiero, in grado di annullare o aumentare l’emozione attivata dalla via automatica e non riflessiva.
Vediamo a cosa servono le emozioni

Le emozioni sono risposte adattive dell’organismo alle stimolazioni interne ed esterne. Si sono evolute negli esseri umani nel corso degli anni, in quanto utili per la sopravvivenza. L’attivazione neurofisiologica prodotta dall’emozione produce un cambiamento. Tale cambiamento predispone l’organismo all’azione e quindi ad una funzione di protezione. Ad esempio la paura emozione a noi tutti familiare, predispone all’attacco o alla  fuga da ciò che ci impaurisce. Quando subiamo un torto da qualcuno è molto probabile che veniamo assaliti dalla rabbia e questa emozione ci predispone all’ attacco il più delle volte. Le emozioni servono anche per comunicare all’esterno, alle altre persone, ciò di cui abbiamo bisogno, in quanto caratterizzate da una specifica espressione facciale. Le emozioni assolvono anche ad un funzione interpersonale, facendo da collante fra i membri di un gruppo, e permettendo ai membri del gruppo di prestare aiuto in caso di necessità. Le emozioni creano inoltre accordo e unione fra i membri di uno stesso gruppo, in quando provando una stessa emozione, possono condividere anche la stessa azione, lo stesso comportamento. A livello cognitivo infine le emozioni, influenzano i nostri pensieri. Quando ci rendiamo conto che stiamo provando un’emozione, iniziamo ad avere pensieri su quella emozione. Questo pensiero può modificare la percezione che abbiamo di quell’evento, a seconda di come noi interpretiamo il significato di quella situazione e quindi dell’emozione  conseguente.

Strategia di regolazione emotiva

Alcuni studi empirici hanno dimostrato che alcune strategie possono avere più spesso esiti adattivi rispetto ad altre strategie:
Accettazione– ovvero avere un atteggiamento di accoglienza delle proprie emozioni e non di ostilità e giudizio. Mettersi in ascolto delle proprie emozioni, riconoscendole come parti inalienabili di noi.
Ristrutturazione cognitiva– ovvero rivalutare la situazione modificando l’attribuzione di significato per modificare anche l’emozione che ne deriva.
Problem solving– ovvero un tentativo concreto di modificare la situazione spiacevole.
Altre strategie possono avere esiti più disadattavi nel lungo termine:
  • Soppressone dell’esperienza emozionale, ovvero soffocare sul nascere l’emozione
  • Soppressione espressiva , ovvero cercare di nascondere i segni espressivi (facciali e corporei ) dell’emozione.
  • Rimuginio e ruminazione, ovvero ripensare e ripetersi mentalmente senza soluzione di continuità la situazione spiacevole, le sue cause e conseguenze.
  • Evitamento sia sul piano esperienziale che comportamentaleevitando la situazione che potrebbe generare una specifica emozione ritenuta spiacevole in valenza o intensità.
Va precisato che non ci sono strategie funzionali ed altre disfunzionali; piuttosto una persona che riesce ad utilizzare in modo flessibile – non rigido! più strategie di regolazione emozionale riuscirà evidentemente ad essere responsivo nei confronti dell’ambiente e a mantenere anche un buon equilibrio e non solo.

mercoledì 9 novembre 2016

DIABETE E ADOLESCENZA



Per tutti l’adolescenza rappresenta una fase di transizione da uno stato di dipendenza familiare, in cui la famiglia rappresenta la base sicura ma dalla quale ci si vuole svincolare perché non più bambini ad una fase di indipendenza in cui però non si è ancora propriamente adulti.  E’ quello dell’adolescenza un periodo molto delicato , costellato il più delle volte da conflitti familiari, incapacità relazionali, riorganizzazione dell’immagine di sé e dello schema corporeo. Ma cosa accade quando in questo momento di passaggio si sovrappone per l’adolescente l’avere a che fare con una patologia cronica come il diabete.

Cambiamenti comportamentali e psicosociali

Oltre ai cambiamenti metabolici e ormonali nell’adolescenza assistiamo anche a modifiche comportamentali e psicosociali, fattori che possono impattare sul controllo del diabete. Assistiamo in genere a mutamenti nei rapporti con le figure di riferimento, ribellioni, tentativi di svincolo dalla famiglia . Questo processo di maturazione ovviamente influenza ed è influenzato dalla gestione di una malattia cronica come il diabete. La malattia infatti crea una situazione di dipendenza , proprio nella fase in cui l’adolescente sente maggiormente la spinta a definire la propria indipendenza e autonomia. Il desiderio di svincolarsi dalla famiglia, potrebbe coincidere con una ribellione nell’autogestione della malattia non praticata cioè in maniera rigorosa, con controlli farmacologici non eseguiti, e regimi alimentari non consoni ad una dieta specifica e controllata. Queste condotte comportamentali potrebbero stare a significare la rottura di un legame di dipendenza dalla famiglia, ma anche dai medici e dai regimi terapeutici. Tutto questo al solo scopo di affermare la propria identità ancora non ben definita, e la propria espressione di libertà anche attraverso atteggiamenti  di sfida e di ribellione.  L’adolescente non avendo ancora una propria autonomia e identità è incapace di pensare a se stesso come adulto responsabile , quindi potrebbe non dare importanza alla prevenzione per le conseguenze delle complicanze diabetiche. Inoltre il più delle volte non osserva le necessarie indicazioni per mantenere un buon controllo metabolico, divenendo questo motivo di conflitti  e scontri con i genitori. Dal punto di vista emozionale l’adolescente diabetico può mostrare segni di difficoltà emotiva nei confronti della malattia: rabbia, negazione della malattia, senso di ingiustizia, amplificazione degli aspetti negativi del diabete, identificazione con la propria malattia. O anche collegare il diabete a tutte le esperienze negative, credere che il diabete privi delle normali opportunità che la vita offre, sentirsi diverso, chiudersi in sé stesso; in buona sostanza addebitare al diabete tutte le difficoltà e le complessità dell’adolescenza. In questa fase è importante che i medici specialisti mantengano una buona relazione con l’adolescente prefiggendosi obiettivi comuni da raggiungere attraverso una buona alleanza terapeutica . In questo contesto diventano importati i coetanei come punti di riferimento, il gruppo diventa la sua figura di riferimento per la maturazione e lo sviluppo di una propria identità , permettendo di uscire da una fase di isolamento in cui molti ragazzi adolescenti si ritrovano.


Come comportarsi con un adolescente diabetico

Per un genitore non sempre è facile sapere come comportarsi con il figlio adolescente, spesso è confuso ha paura di sbagliare. Diciamo innanzi tutto che non ci sono comportamenti giusti o sbagliati da adottare ma dipende molto dalla personalizzazione del  caso , però ci sono degli elementi comuni su cui possiamo fare leva per evitare problematiche future. Innanzi tutto bisogna evitare
·         di identificare qualsiasi comportamento del figlio con la problematica del diabete
·         di prestare eccessiva attenzione alla glicemia
·         di non incoraggiare l’autogestione della propria malattia
·         di mostrare mancanza di fiducia nei confronti del figlio
Bisogna sottolineare però che se è dannoso non dare responsabilità e fiducia, lo è parimenti eccedere nel dare indipendenza. In entrambi i casi il rischio è di trovarsi davanti ad un adolescente che peggiora la sua adesione alla cura o che sviluppa disordini di comportamento alimentare (anoressia, bulimia, binge eating disorder) o altre problematiche quali ansia e depressione. I conflitti coi genitori diventano sempre più frequenti, i controlli ambulatoriali si saltano perché ritenuti non importanti, le abbuffate  alimentari diventano una costante . Tutti fattori che rendono la gestione del diabete più pesante e che possono impattare sulla  qualità di vita dell’adolescente e dei suoi familiari.


Per qualsiasi informazione potete contattarmi direttamente alla mia mail dottmariacarcuro@gmail.com o telefonarmi al Tel 347 9733631 e vi ricordo che in occasione della giornata mondiale del diabete è possibile prenotare una visita gratuita.  


giovedì 3 novembre 2016

L'IMPORTANZA DI UNA TERAPIA PSICOLOGICA




I più grandi ostacoli della vita si trovano nella nostra mente. C’è sempre la soluzione a tutti i problemi, basta avere un aiuto per poterli superare. I motivi di disagi sono molteplici, poiché la società attuale, nella sua complessità, richiede sempre più risposte pronte, veloci che talvolta sono causa di stress.
Purtroppo a volte ci sentiamo inadeguati e privi di strumenti per poter superare certe situazioni, sia nella vita privata, che in quella lavorativa e relazionale. Qualsiasi disagio può essere facilmente risolto, con un aiuto psicoterapeutico, diretto, pratico, efficace, grazie  alla terapia cognitivo comportamentale. Questo tipo di terapia è attualmente considerata a livello internazionale come uno dei più affidabili ed efficaci modelli per la comprensione e il trattamento dei disagi psicologici. Si propone di aiutare le persone  ad individuare i pensieri disfunzionali ricorrenti di interpretazione della realtà , al fine di sostituirli o integrarli  con convinzioni più funzionali.
LA TERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE
LE SUE CARATTERISTICHE
  • E’ scientificamente fondata – Attraverso studi controllati, molte ricerche hanno dimostrato che questa terapia, risulta molto efficace.
  • E’ orientata allo scopo– Il terapeuta lavora insieme al paziente, per stabilire gli obiettivi della terapia, concordando insieme al paziente un piano di trattamento più consono al paziente.
  • E’ pratica e concreta- Lo scopo della terapia si basa sulla risoluzione, dei problemi psicologici concreti. Alcune tipiche finalità includono la riduzione dei sintomi depressivi, l’eliminazione degli attacchi di panico e dell’eventuale concomitante agorafobia, la riduzione o l’eliminazione dei rituali compulsivi o dei comportamenti alimentari patologici, la promozione delle relazioni con gli altri, la diminuzione dell’isolamento sociale, e cosi via.
  • È collaborativa –Paziente e terapeuta lavorano insieme per capire e sviluppare strategie che possano indirizzare il soggetto alla risoluzione dei propri problemi, è  infatti, una psicoterapia sostanzialmente basata sulla collaborazione tra paziente e terapeuta. Entrambi sono attivamente coinvolti nella identificazione e nella messa in discussione delle specifiche modalità di pensiero che possono essere causa dei problemi emotivi e comportamentali che attanagliano il paziente
  • È a breve termine- La durata della terapia varia di solito dai quattro ai dodici mesi, a seconda del caso, con cadenza il più delle volte settimanale. Problemi psicologici più gravi, che richiedano un periodo di cura più prolungato, traggono comunque vantaggio dall’ uso integrato della terapia cognitiva, degli psicofarmaci e di altre forme di trattamento.

mercoledì 2 novembre 2016

ATTACCO DI PANICO SINTOMI E CURA




Gli attacchi di panico si manifestano come episodi di intensa e improvvisa paura che si concretizza con palpitazioni tremori, sudorazione, paura di impazzire di morire e di perdere il controllo.
Gli attacchi di panico possono presentarsi all'improvviso, senza evidenti motivi, come “un fulmine a ciel sereno” oppure possono essere situazionali, cioè scatenati da uno specifico evento. Chi ha provato gli attacchi di panico li descrive come un’esperienza terribile, spesso improvvisa ed inaspettata, almeno la prima volta.
E' ovvio che la paura di un nuovo attacco diventa immediatamente forte. Il singolo episodio, quindi, sfocia facilmente in un vero e proprio disturbo di panico, più per “paura della paura” che altro. La persona si trova rapidamente invischiata in un tremendo circolo vizioso che spesso si porta dietro la cosiddetta “agorafobia“, ovvero l’ansia relativa all’ essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto, nel caso di un attacco di panico inaspettato.
Con la paura degli attacchi di panico diventa quindi pressoché impossibile uscire di casa da soli, viaggiare in treno, autobus o guidare l’auto, stare in mezzo alla folla o in coda, e cosi via. Gli attacchi di panico possono inoltre presentarsi a causa di condizioni mediche generali o altre cause fisiche.
Chi soffre di attacchi di panico dovrebbe effettuare una visita medica per escludere le seguenti patologie organiche:
·       Prolasso della valvola mitralica: un problema cardiaco minore che insorge quando una delle valvole cardiache non si chiude correttamente
·         Ipertiroidismo
·         Ipoglicemia

oppure condizioni derivanti da
·         Utilizzo di sostanze stimolanti ( anfetamina, cocaina, caffeina)
·         Astinenza da farmaci
Il primo attacco di panico non si scorda mai

Il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, cioè si manifesta “a ciel sereno”, per cui il soggetto si spaventa enormemente e, spesso, ricorre al pronto soccorso; poi possono diventare più prevedibili.
Per la diagnosi sono richiesti almeno due attacchi di panico inaspettati, ma la maggior parte degli individui ne hanno molti di più.
Gli individui con Disturbo di Panico mostrano caratteristiche preoccupazioni o interpretazioni sulle implicazioni o le conseguenze degli attacchi di panico. La preoccupazione per il prossimo attacco o per le sue implicazioni sono spesso associate con lo sviluppo di condotte di evitamento che possono determinare una vera e propria Agorafobia, nel qual caso viene diagnosticato il Disturbo di Panico con Agorafobia.
Di solito gli attacchi di panico sono più frequenti in periodi stressanti. Alcuni eventi di vita possono infatti fungere da fattori precipitanti, anche se non indicono necessariamente un attacco di panico. Tra gli eventi di vita precipitanti riferiti più comunemente troviamo il matrimonio o la convivenza, la separazione, la perdita o la malattia di una persona significativa, l’essere vittima di una qualche forma di violenza, problemi finanziari e lavorativi.
I primi attacchi si verificano di solito in situazioni agorafobiche (come guidare da soli o viaggiare su un autobus in città) e comunque spesso in qualche contesto stressante.
Gli eventi stressanti, le situazioni agorafobiche, il caldo e le condizioni climatiche umide, le droghe psicoattive possono infatti far insorgere sensazioni corporee che possono essere interpretate in maniera catastrofica, aumentando il rischio di sviluppare attacchi di panico.
Sintomi
I sintomi degli attacchi di panico generalmente sono:
-Palpitazioni/tachicardia (battiti irregolari, pesanti, agitazione nel petto, sentirsi il battito in gola)
-Paura di perdere il controllo o di impazzire (ad esempio, la paura di fare qualcosa di imbarazzante in pubblico o la paura di scappare quando colpisce il panico o di perdere la calma)
- Sensazioni di sbandamento, instabilità (capogiri e vertigini)
- Tremori fini o a grandi scosse
- Sudorazione
- Sensazione di soffocamento
- Dolore o fastidio al petto
- Sensazioni di derealizzazzione (percezione del mondo esterno come strano e irreale, sensazioni di stordimento e distacco) e depersonalizzazione (alterata percezione di sé caratterizzata da sensazione di distacco o estraneità dai propri processi di pensiero o dal corpo)
- Brividi
- Vampate di calore
- Parestesie (sensazioni di intorpidimento o formicolio)
- Nausea o disturbi addominali
- Sensazione di asfissia (stretta o nodo alla gola)
Come si curano gli attacchi di panico?
In molti studi, la terapia cognitivo comportamentale è risultata il miglior trattamento per i disturbi di attacchi di panico e d'ansia. E’ particolarmente efficace per combattere gli attacchi di panico, con un successo dell’80- 90% dei casi.
La terapia ha due componenti:
a) l’identificazione e l’evoluzione del pensiero dai modelli distorti che portano all’ ansia (terapia cognitiva) e b) la desensibilizzazione dell’ansia attraverso l’esposizione alle situazioni temute (comportamento- terapia).
L’importanza assegnata a ciascuno dei due aspetti dipende dalla natura del problema. Il primo passo verso il recupero è una buona diagnosi, non si può risolvere un problema se non lo si conosce.
Una volta che è stata fatta la diagnosi, il recupero è già in atto, anche se bisogna ricordare che è necessaria disciplina e dedizione perché si possa risolvere il problema al fine di superare gli attacchi di panico è necessario capire qual è la causa scatenante; spesso proprio la comprensione del problema è la chiave per la guarigione.
La psicoterapia cognitivo comportamentale spiega alla persona il ruolo dell’ansia nell ’innesco del panico, il ruolo dello stress, della personalità, dell’iperventilazione, degli evitamenti nella cronicizzazione del disturbo. La cura dagli attacchi di panico non può prescindere dall’ analisi dei pensieri catastrofici che fanno interpretare i segnali dell’ansia come eventi terribili quali l’infarto, la pazzia o la perdita di controllo.
L’esposizione graduale agli eventi temuti è uno degli strumenti chiave nella cura degli attacchi di panico secondo l’approccio della psicoterapia cognitivo comportamentale, attraverso l’esposizione la persona ha la possibilità di smentire l’ipotesi catastrofica temuta ed inizia pian piano ad riappropriarsi della propria vita.
L’approccio della psicoterapia cognitivo comportamentale ai problemi di panico è, confrontata ad altre psicoterapie, abbastanza breve (entro pochi mesi, se si seguono le indicazioni del terapeuta, si possono già avere risultati molto buoni), orientata agli obiettivi, attiva, misurabile, efficace.

sabato 29 ottobre 2016

DIABETE E VITA DI COPPIA







E’ indubbio che il diabete sia una patologia complicata, non solo per chi ne è affetto , ma anche per il partner che quotidianamente vive accanto alla persona diabetica.
Il partner il più delle volte è confuso, non sa come starle accanto, spesso non sa come comportarsi  e questa modalità lo manda in crisi. La domanda ricorrente che si fa chi vive accanto ad una persona diabetica è se motivarlo a seguire i trattamenti magari risultando invadente,oppure mostrarsi distaccati con i conseguenti sensi di colpa. Ecco qui elencati una serie di aspetti da considerare nella coppia.
·         Il dialogo è importante nella coppia
Parlare di questa patologia con il partner , scambiarsi informazioni è fondamentale. Ad esempio recarsi insieme dal medico o diabetologo, ai vari controlli mensili può essere molto positivo, perché questo permette di eliminare alcuni dubbi sui luoghi comuni della patologia, e di avere chiarimenti riguardo ai rischi di trasmissione nei casi si desidera avere un bambino. Alcuni vanno dal medico in coppia, altri vorrebbero una maggiore condivisione di questo momento ma ci vanno da soli, altri invece si gestiscono intenzionalmente tutto da soli. In tutti questi casi nella coppia bisogna parlarne, in modo chiaro senza paura, esprimere le proprie sensazioni, i propri vissuti in modo da creare un equilibrio stabile per la coppia. Questa collaborazione ad esempio potrebbe essere utile nel gestire le emergenze. Se l’ipoglicemia conduce ad una perdita di coscienza, il partner deve saper gestire la situazione, agendo lui stesso in prima persona, o chiamando qualcuno. In entrambi i casi deve essere collaborativo, non deve far sentire la persona diabetica sola con il suo problema. In alcuni casi tuttavia il partner può avere la tendenza al “controllo” a sorvegliare la persona diabetica ad insistere  perché prenda appuntamento dal medico, o che mangi in un certo modo etcc.. Se la persona non segue i suoi consigli il partner si sente inutile, incapace di aiutarla e sentirà molto probabilmente un  forte senso di colpa. In questi casi non bisogna sentirsi completamente responsabili , è pur sempre il paziente diabetico responsabile dei cambiamenti positivi o negativi che possono sopraggiungere nella gestione della malattia.
·       
            I pasti devono essere regolari ed equilibrati
Il momento del pasto deve rappresentare per il diabetico e per le persone che gli vivono accanto, un momento di condivisione, di piacere. Quindi è opportuno che le persone che vivono accanto al diabetico seguono le stesse regole per non discriminarlo e non tentarlo con cibi che i diabetici non possono concedersi.
·         
      I momenti di irritabilità del diabetico possono minare il rapporto di coppia
Come tutte le malattie croniche anche il diabete potrebbe minare la propria autostima, l’immagine che si ha del proprio corpo e della propria salute. Tutto questo diventa fonte di angoscia e irritabilità per il diabetico portando ripercussioni sul rapporto di coppia, e provocare altri disfunzioni nel comportamento , depressione, somatizzazioni e violenze coniugali e irritabilità.  In questi casi è importante che i partner sono informati riguardo al fatto che il diabetico non agisce consapevolmente ma che ha bisogno di essere aiutato e capito e  laddove il partner nonostante le buone intenzioni non riesce a stargli accanto di chiedere un aiuto da un professionista.

·         Problematiche sessuali
Il diabete ha ripercussioni sulla sessualità sia dal punto di vista psicologico e dal punto di vista fisiologico perché gli squilibri glicemici hanno ripercussioni in quanto gli eccessi di zuccheri nel sangue possono deteriorare i vasi sanguigni e le terminazioni nervose con conseguenze sul desiderio sessuale.  Nell'origine dei problemi sessuali dei pazienti diabetici pesano i fattori organici e l'impatto psichico, i quali sono tra loro in un rapporto di interdipendenza circolare, contribuendo entrambi  all'eziologia delle varie disfunzioni sessuali che possono essere di varia tipologia. In alcuni casi vi è una prevalenza eziologica di fattori organici, in altri pesano di più fattori di natura psicologica. Nel caso della popolazione diabetica l'incidenza dei fattori organici e di quelli psicologici dipende sia dall'età del paziente che dalla durata della malattia. E’ utile più che opportuno che il paziente affronti il suo problema sia con il partner che con uno psicologo, perché la dimensione psicosessuale ha una notevole importanza nell'ambito del benessere psicofisico e relazionale dell'individuo ed è sicuramente un indice di tutto questo.

In alcuni casi può essere utile un percorso psicologico più specifico per far aprire la coppia o la famiglia ad altri punti di vista, purché lo si faccia con molta cautela, valutando caso per caso e monitorando strettamente la persona col diabete dal punto di vista metabolico durante la terapia.
In ogni caso il ruolo del medico – e anche dello psicologo – non è per forza quello di riscrivere la storia del paziente; il team deve aprire delle finestre nella relazione, far intravedere delle possibilità alternative e compatibili, in modo che la relazione di coppia non influisca negativamente sulla salute di entrambi.

mercoledì 19 ottobre 2016

FAMIGLIA E DIABETE






La diagnosi di una malattia cronica come il diabete in un bambino e/o adolescente rappresenta una fase molto delicata. Venire a conoscenza di avere una patologia con cui convivere tutta la vita determina un riequilibrio nell’assetto familiare non sempre facile, perché la diagnosi determina un cambiamento che destabilizza l’intera quotidianità della famiglia , i ruoli, le abitudini alimentari e i vissuti emotivi del bambino e/o adolescente diabetico ma anche dei genitori.
 Spesso ma non sempre è la madre a farsi carico della gestione della patologia, è dunque lei che diventa “responsabile”della cura e delle problematiche mediche e questo determina nel bambino un certo grado di dipendenza maggiore rispetto ai coetanei o agli altri membri della famiglia. Il bambino diventa così il centro di attenzione dell’intera famiglia ed i ruoli degli altri componenti si strutturano e si modificano in base ad esso, e a risentirne spesso è anche la vita di coppia.  L’insorgenza di questa patologia nel bambino, provoca un riassetto del sistema familiare da due punti vista quello prettamente pratico per le procedure mediche e quello psicologico per i vissuti di ansia e sopratutto di controllo che ne consegue.
Vediamo come reagisce la famiglia quando si trova ad avere la diagnosi di diabete di un bambino e /o adolescente
·         Negazione della diagnosi generando ipotesi alternative
·         Angoscia , tensione e interrogativi per il futuro del figlio
·         Senso di colpa , risentimento verso il coniuge , per il fattore ereditarietà
·         Controllo del diabete con estrema rigidità da parte di chi se ne prende cura. Questo produce esclusività nel rapporto con il bambino, e allontanamento del coniuge con i conseguenti problemi di coppia, e degli altri membri della famiglia.
·         Meno attenzioni agli altri figli generando invidie e rivalità
·         Iperprotezione verso il bambino , generando poca autonomia e dipendenza nel bambino

Spesso a risentirne è il clima familiare, spesso pieno di conflitti con ansie , tensioni,un clima poco sereno oppure si rompono equilibri già di per sé precari. Spesso chi si prende cura del bambino diabetico ha tutto il peso della responsabilità che diventa di tipo pratico, organizzativo ed emotivo. Chiaramente molto dipende dalla struttura di personalità di chi se ne prende cura, chi sa offrire una base sicura e contenitiva ed è quindi più sicuro di sé si sentirà meno inadeguato nell’offrire il sostegno e la cura e questo avrà meno risvolti negativi sul clima familiare. L’influenza dei fattori familiari sul controllo del diabete, è stata oggetto di molti studi, dai quali è emerso che uno scarso controllo metabolico, è spesso correlato ad una famiglia conflittuale che funziona male, in cui non si esprimono con naturalezza le emozioni e che con difficoltà da un sostegno al bambino diabetico. Inoltre in questo contesto il bambino o l’adolescente diabetico, ha una maggiore probabilità di manifestare difficoltà emotive e comportamentali, disturbi alimentari ,problemi nell’aderenza farmacologica e aumento nella chetoacidosi diabetica. Va sottolineato però che è complicato stabilire se i problemi familiari siano la causa o semplicemente il risultato dei problemi associati alla patologia diabetica. Il funzionamento comportamentale  delle persone conseguente alla  propria personalità può condizionare il loro atteggiamento nei confronti del diabete in ambito familiare. Se i problemi psicologici sono affrontati correttamente, la gestione del diabete nella sua complessità viene facilitata. Alla base di quanto detto risulta essere importante per un bambino diabetico il relazionarsi in un ambiente  familiare sano da un punto di vista psicologico, perché in questo caso ha maggiori possibilità di diventare un adulto responsabile che si prende cura della propria salute. Questi bambini hanno bisogno di vivere in una struttura familiare stabile e di un approccio relazionale coerente senza eccessive costrizioni. I bambini diabetici inoltre devono sviluppare la propria indipendenza fin da piccoli, in un clima familiare caldo, sereno e devono impiegare il proprio tempo in attività positive e piacevoli. Anche se è importante l’autonomia e l’indipendenza del bambino, nella prima fase della diagnosi di diabete è indispensabile per i genitori abituarsi ad esercitare un controllo della situazione da un punto di vista pratico per quanto riguarda il dosaggio dell’insulina e la condotta alimentare. Tutto questo potrebbe indurre nel genitore che si prende cura del figlio,un conflitto da una parte la rigidità proprio per il fatto che le cure sono necessarie e dall’altra il non riuscire a tollerare in alcune situazioni la sofferenza del figlio, da cui poi ne conseguono i sensi di colpa. In maniera speculare invece la madre che è in genere quella predisposta alla somministrazione dell’insulina , potrebbe essere percepita come colei che non protegge dal dolore, anzi è vissuta come punitiva e questo potrebbe minare la relazione madre-figlio. Ad esempio si può chiedere al bambino di rappresentare tramite il gioco, le situazioni delle cure mediche. Gioco che diventa ruolo attivo nel corso ad esempio della somministrazione dell’insulina. Nonostante il gioco però molti bambini, odiano il loro diabete, da una parte perché vissuto come una punizione, dall’altra per il riflesso dei loro genitori. In conclusione è possibile modificare l’atteggiamento dei genitori e dei bambini, cominciando a parlarne quanto prima.

venerdì 30 settembre 2016

CHE STRESS!!!…… LO STRESS



Nella vita di tutti i giorni è facile sentirsi stressati. Impegni che si susseguono, preoccupazioni, problematiche di vario genere, possono diventare fonte di disagio. Ma cos’è effettivamente lo stress? Scopriamolo in questo articolo in cui viene fatta una panoramica generale di cosa sia effettivamente lo stress per poi passare ad alcuni rimedi pratici.
Lo stress può essere considerato come uno stato di tensione, di allarme che può coinvolgere totalmente la persona sia a livello fisico che mentale. Rappresenta una risposta immediata, un insieme di reazioni che interessano l’intero sistema nervoso, il sistema endocrino e immunitario.
Si manifesta in tre fasi, che vanno a rappresentare la cosi detta  Sindrome Generale di Adattamento(GAS)
  • ·     Fase di allarme si caratterizza perché la persona avverte un eccesso di sollecitazioni, ambientali, emotive, e cerca in tutti i modi di far fronte a questa necessità, per tornare ad una fase iniziale di stabilità. Il corpo interpreta questa condizione come un pericolo e di conseguenza vengono rilasciati in circolo gli ormoni, cortisolo, adrenalina e noradreanalina , con un aumento di dieci volte di più rispetto ad una condizione normale.
  • ·       Fase di resistenza è la cosi detta seconda fase, chiamata cosi perché la persona cerca di adattarsi alle sollecitazioni che riceve finché l’elemento stressante non scompare. In questa fase c’è la sovrapproduzione di cortisolo che causa un indebolimento delle difese immunitarie. A lungo andare lo stress cronico, può con molta probabilità favorire l’insorgenza di molte malattie di tipo virale, batterico e autoimmuni.
  • ·   Fase di esaurimento questa fase si caratterizza per il fatto che il nostro corpo, percepisce il pericolo come finito oppure cadono tutte le difese e quindi le energie cominciano a venir meno, ci troviamo di fronte ad una vera e propria fase depressiva .

Va sottolineato che quando la persona si trova di fronte a fasi di stress cronico, potrebbe sentire la necessità impellente di mangiare di più oppure utilizzare sedativi, alcool, fumo, per calmare lo stato ansiogeno associato al periodo di stress.

I SINTOMI DELLO STRESS

Regolare difficoltà ad addormentarsi
Frequente desiderio di piangere
Costante senso di stanchezza e di sonno
Difficoltà nella concentrazione e nel prendere decisioni
Tic nervosi
Irritabilità
Senso di inadeguatezza
Perdita d’interesse per il sesso
Voracità
Pensieri tristi e cupi
Aumento del consumo di tabacco e di alcool
Mancanza di entusiasmo
Guida veloce e pericolosa

COME GESTIRE LO STRESS CON DEI RIMEDI PRATICI

  Pensare a se stessi
Prendersi cura di sé, facendo per almeno dieci minuti al giorno qualcosa che vi piace fare, leggere un libro, ascoltare musica, guardare un film. Insomma qualcosa che amate fare e che vi fa stare bene.
  Dieta sana
Seguire una dieta bilanciata , varia  e ricca di nutrimenti essenziali. Soprattutto la dieta non deve essere intesa come privazione ma come un elemento che fa bene a corpo e mente.
  Munirsi di autoironia
Impariamo a non prenderci troppo sul serio , a ridere di noi stessi e a vivere la vita con leggerezza.
  Non tenersi tutto dentro
Parlatene con qualcuno, un amico, un confidente vi aiuterà a liberarvi delle emozioni negative che invece se soffocate si somatizzeranno  recando malessere a tutto l’organismo.
  Circondatevi di persone positive
Le persone negative non faranno altro che acuire il senso di stress. Le persone propositive vi aiuteranno a superare le difficoltà e quindi a stare meglio.
  Stare all’ aria aperta
Da molti studi è emerso che stare a contatto con la natura aiuta molto a ridurre lo stress. Una passeggiata al parco o in un viale alberato aiuta molto a ridurre la concentrazione di stress.

Questi elencati sono solo alcuni rimedi pratici che chiaramente possono essere presi in considerazioni per eventi di lieve stress. Se ci troviamo di fronte a forme croniche o acute di stress è consigliabile  rivolgersi ad uno psicoterapeuta .